Lo scopo di questo documento è quello di delineare un insieme di linee guida alle quali cercare di attenersi quando si traduce un documento tecnico, un HOWTO, delle pagine di manuale o i messaggi di un programma, in seguito all'impegno di molti volontari in anni di traduzioni e revisioni sulle liste dei traduttori.
Ovviamente i destinatari principali di questo documento sono i novelli traduttori che si cimentano per le prime volte con le traduzioni di documenti tecnici, ma può anche servire per stabilire una base comune di regole su cui i traduttori più esperti possano fare affidamento.
È da tenere ben presente che queste regole non sono una verità rivelata, ma sono il frutto di discussioni avvenute negli anni e, pertanto, non pretendono di essere considerate assolute. Piuttosto, la validità di una traduzione non deve essere una condizione binaria, bensì un continuo di sfumature che attraversano l'intero spettro di verità.
Uno stile grafico coerente è indice di professionalità e permette all'utente di non venire distratto da quelle che per lui possono essere stranezze visive, ma di concentrarsi sul contenuto del messaggio.
In un testo italiano vanno usati solo spazi singoli tra una parola e l'altra, anche dopo il punto al termine di un periodo, a differenza dell'uso inglese che consente anche di mettere due spazi. L'apostrofo non prevede che siano posti spazi né a precederlo né a seguirlo, a meno che si tratti di un troncamento, quale «va'», «po'», ecc.
Tutti i segni di interpunzione (virgola, punto, punto e virgola, punto esclamativo, ecc.) seguono direttamente la parola che li precede, senza spazi, e vanno separati dalla parola successiva con uno spazio. Non fanno eccezione i punti alla fine di un periodo.
es. "L'italiano, il francese e lo spagnolo sono lingue neo-latine."
La congiunzione "e" non va preceduta dalla virgola, a meno che questa sia una virgola che chiude un inciso.
Le parentesi di apertura hanno uno spazio che le precede mentre la parola successiva è attaccata ad esse. Il contrario è normalmente vero per le parentesi di chiusura, mentre non va messo alcuno spazio tra queste ed eventuali segni di punteggiatura.
es. "Esempio (dell'uso) di parentesi."
In particolare, la punteggiatura del testo circostante non va inserita all'interno delle parentesi ma va posta dopo la parentesi di chiusura.
es. "Altro esempio (dell'uso di parentesi)."
Mentre in inglese è convenzione porre tutte le lettere iniziali delle parole componenti un titolo in maiuscolo, in italiano ciò è considerato errore, in quanto solo la prima parola usa l'iniziale maiuscola.
I nomi dei programmi esulano dalla precedente regola sulle maiuscole: se un nome di programma compare all'inizio della frase, la sua prima lettera non va forzata maiuscola, ma va scritto riportando esattamente la corretta grafia.
Se tale grafia non possiede l'iniziale maiuscola è consigliabile tentare di modificare la frase affinché il nome non cada più all'inizio.
es. "Mozilla", "apt", "GNOME", "giFT", "Konqueror", "GStreamer".
È da considerarsi errore l'uso di una vocale seguita da un apostrofo «'» o da un apice inverso «`» per simboleggiare una vocale accentata. Se la codifica lo consente, vanno sempre impiegati i simboli appositi, sia per le minuscole che per le maiuscole.
Nell'ambiente X11 usato sui sistemi UNIX, le maiuscole accentate sono ottenibili usando il tasto BlocMaiusc insieme agli stessi tasti usati per le minuscole.
Le vocali "a", "i" e "u" possiedono solo una possibile pronuncia e quindi vanno sempre poste con l'accento grave ("à", "ì", "ù").
La vocale "o", invece, può essere sia aperta che chiusa ma, poiché non esistono parole tronche che terminano per "o" chiusa, l'accento alla fine della parola è sempre grave ("ò").
In generale, è convenzione comune anche in editoria utilizzare esclusivamente l'accento grave sulle vocali "a", "i", "o" e "u".
Per la vocale "e" la situazione è più complicata: normalmente va usato l'accento grave ("è") ma in alcuni casi va usato quello acuto ("é"): "perché", "affinché", "poiché" (in generale tutti i vocaboli che terminano in "ché"), "né", "sé".
In italiano non sono da usare gli apici singoli «'». Al loro posto vanno usate le virgolette doppie, sia alte (" ") che basse (« »).
La scelta tra i due tipi di virgolette rimane una scelta del traduttore nella maggiornaza dei casi, anche se è auspicabile mantenere una certa coerenza tra traduzioni appartenenti allo stesso ambiente.
Senza dubbio le virgolette alte vanno usate quando si usa un termine con un significato diverso da quello corrente (come si usa dire, "tra virgolette"), mentre quelle basse (dette caporali) vanno usate per citazioni di discorsi diretti.
Negli altri casi la scelta ricade sul traduttore, ma l'uso diffuso prevede l'impiego di virgolette basse per nomi di file, comandi di shell e, talvolta, per identificativi di elementi dell'interfaccia utente (ad es. voci di menù o pulsanti nelle interfacce grafiche).
Nei casi in cui l'uso delle virgolette alte sia sconveniente, ad esempio se un apostrofo finisse vicino a una virgoletta, è consigliabile usare quelle basse per evitare confusione.
In ambiente X Window le virgolette basse possono essere introdotte con le combinazioni di tasti <Alt-Gr>+z («) e <Alt-Gr>+x (»), oppure usando i loro codici Unicode (U+00AB per « e U+00BB per »).
Solitamente, nelle traduzioni italiane, la codifica usata è un superinsieme della codifica ASCII, pertanto diviene possibile usare alcuni caratteri speciali, dove appropriato.
Per questo motivo è solitamente considerato errore simulare vocali accentate con apostrofi «'» o apici inversi «`». Inoltre, è caldamente raccomandabile la sostituzione delle stringhe "(c)" con il carattere "©" (e, analogamente, "®"), oppure l'uso del simbolo di moltiplicazione "×" dove fosse usata la lettera "x" in sua vece.
Fatta eccezione per i casi in cui compaiono "gh" o "ch" e per il verbo avere, in italiano la lettera "h" compare solo a fine parola o tra due vocali. Questo è particolarmente vero per le esclamazioni come "ehi" (non "hei"), "ahi", "oh", "ah", "beh" (non "bhe").
I monosillabi che in italiano esistono sia in forma semplice che in forma accentata sono pochi e ben definiti: "dà", "sé", "tè", "lì", "là", "sì", "né".
Quando si ha elisione è necessario porre l'apostrofo dopo la parola: ne sono un esempio i monosillabi «po'», «va'», «fa'» e «di'».
Nei casi in cui si ha, invece, un troncamento l'apostrofo non va messo: un esempio corretto di tale pratica è l'uso di «qual è» invece dell'errato «qual'è».
Le forme eufoniche (ed, ad, od) vanno usate solo se la vocale che segue è la stessa (es. "Io ed Elisabetta").
Se la vocale che segue è diversa, la presenza della "d" non è considerata errata ma non è neppure esempio del migliore stile (es. "Io e Alberto" invece che "Io ed Alberto").
Il formato italiano numerico per la data è "GG/MM/AAAA" (es. "25/05/2004"), ma andrebbe preferito, se possibile, il formato esteso "ggg GG mese AAAA" (es. "mer 25 maggio 2004").
Per quanto concerne il formato orario è da usare il formato HH.MM.SS,DD in cui il punto è usato come separatore per la parte sessagesimale e la virgola separa la parte decimale dei secondi (decimi, centesimi e così via).
Questi formati vanno usati quando viene richiesta la rappresentazione localizzata della data, mentre se nel testo originale la data compare già nel formato internazionale, va lasciata la notazione ISO.
I termini stranieri vanno sempre lasciati nella loro forma pura, priva di flessione. Non debbono venire coniugati neppure al plurale, restando sempre nella loro forma singolare: questo è per evitare problemi con vocaboli dotati di plurale irregolare ("mouse" - "mice") o con lingue poco conosciute ("kamikaze", "pasdaran", ecc.).
Lo stesso trattamento va riservato per le forme terminanti in -ing, in cui va lasciato solo l'infinito del verbo.
es. "Eseguire il link" invece che "Eseguire il linking".
Per quanto riguarda il genere, il termine assume quello che avrebbe se tradotto in italiano oppure quello che suona meglio dandogli un significato italiano. In caso di dubbio è consigliabile rifarsi all'uso comune (sempre che ne esista uno).
es. "Ho comprato due mouse", "Mandami i tuoi file".
Termini stranieri "italianizzati" ("settare", "rebootare", "pingare") sono da evitare usando i termini corretti ("impostare", "riavviare") o aggirandoli con parafrasi ("effettuare il ping").
Mentre i testi inglesi usano solitamente rivolgersi direttamente al lettore, in italiano è una cosa da evitare in ogni modo, essendo preferibile usare forme impersonali per esprimere gli stessi concetti. Detto ciò, è anche necessario limitare l'uso del "si" impersonale, il quale tende a rendere le frasi pesanti e poco scorrevoli, privilegiando l'uso dell'infinito.
Si tenga, inoltre, presente che in inglese i programmi tendono a essere più educati dell'uso comune italiano, anteponendo molti "please" alle azioni che l'utente deve compiere. In italiano, invece, i programmi sono molto più freddi e si limitano a dire all'utente cosa deve fare.
Mentre in inglese il programma si riferisce a sé stesso in prima persona, in italiano ciò è da evitare, usando costrutti impersonali o forme passive.
Spesso nei testi da tradurre compaiono verbi posti al gerundio (es. "Installing GNOME") che, se tradotti con un gerundio italiano darebbero un'idea diversa dall'originale.
In questi casi è raccomandabile tradurli sostantivizzando l'azione: "Installazione di GNOME" oppure "Installazione di GNOME in corso" se si volesse porre maggior accento sul contemporaneo svolgimento dell'operazione, anche se ciò appesantisce la frase.
Altre volte è meglio usare il verbo all'infinito per evitare di dover creare nuovi sostantivi o di dover usare forme sostantivizzate poco scorrevoli: usando frasi come "Errore nell'installare GNOME" si riesce, inoltre, a mantenere una certa relazione tra la forma originale e quella tradotta, riducendo la probabilità di dover rigirare la frase.
Domande retoriche, frasi esclamative o interrogative e forme colloquiali sono da evitare, cercando di usare al loro posto una forma affermativa impersonale, che conferisce al programma un tono più professionale o, perlomeno, distaccato.
Mentre in inglese è diffuso l'uso di brevi periodi in successione legati tra loro, in italiano è considerato un esempio di cattivo stile. Pertanto è consigliabile cercare di fondere questi periodi in periodi più lunghi, articolati in frasi principali e subordinate.
Nei testi anglofoni è consuetudine inserire incisi introdotti da un trattino ("-") o da due trattini ("--"): in italiano sono da evitare, sopperendo con l'uso delle virgole o dei due punti.
In inglese è frequente incontrare la forma "and/or" per indicare
la possibilità che due eventi possano o verificarsi entrambi oppure
che se ne verifichi almeno uno dei due, in quanto la disgiunzione
"or" ha un significato di mutua esclusione (EXOR
).
L'italiano, invece, deriva le proprie congiunzioni e disgiunzioni dal latino, in cui erano presenti:
AND
logico)OR
logico)EXOR
logico)Pertanto in italiano la forma "e/o" è da evitare, usando al suo posto una semplice "o", mentre per esprimere la mutua esclusione è possibile impiegare la forma "o ... o ...".
Compito del traduttore è di cercare di rimanere il più possibile fedele all'originale: questo non significa necessariamente tradurre letteralmente, bensì cercare di rendere perfettamente quanto esposto del documento originale. Più la traduzione è vicina all'originale, tanto questa è migliore, ma tale vicinanza non deve verificarsi a scapito della forma o della correttezza: a causa del diverso modo di costruire le frasi nelle varie lingue, spesso è da considerare migliore una traduzione che si distacca dall'originale ma è più scorrevole o più elegante.
Questa è una massima valida per tutte le traduzioni tecniche. Una traduzione deve cercare di rendere esattamente ciò che è espresso dall'originale, senza sforzarsi di renderlo più chiaro o meno ambiguo, a meno di errori nell'originale che vanno corretti e segnalati agli autori.
Ciò non vuol dire che le traduzioni debbano essere necessariamente letterali (anche se questo può essere comunque considerato un pregio): semplicemente non è compito del traduttore fare precisazioni su un testo ambiguo.
Talvolta ciò può accadere in modo inevitabile per diversità della lingua: ad esempio il termine "free software" in italiano diviene "software libero". Con una tale traduzione, tuttavia, diviene pressoché impossibile tradurre anche la precisazione che spesso viene fatta tra gli anglofoni: "free as in speech, not as free beer".
È per evitare casi come questi che il lavoro del traduttore non comprende la chiarificazione di un testo poco chiaro nella sua forma originale: in tali casi il comportamento migliore sarebbe quello di contattare l'autore originale e far presente che il testo contiene delle parti dubbie, sollecitandolo a chiarirle.
Anche per i singoli termini vale questa regola: bisogna guardarsi dal precisare più di quanto il termine stesso dica, onde evitare spiacevoli malintesi. Anche per questo una traduzione deve essere succinta, onde evitare di implicare più di quanto non sia necessario.
Quando si trova davanti alla traduzione di un termine, un utente esperto deve trovarla naturale e deve poter risalire subito al termine originale.
I tecnici generalmente conoscono il termine originale, pertanto la traduzione non deve essere fuorviante o più difficile da leggere di quest'ultimo, altrimenti è meglio lasciare il termine invariato.
È da evitare soprattutto l'introduzione di termini arbitrari, in quanto questi rischiano di essere diversi da un testo all'altro, confondendo il lettore.
Una traduzione tecnica deve essere l'unica traduzione possibile di un termine, in quanto il suo significato è talmente preciso e ben delimitato che chi la legge si aspetta di trovarla sempre uguale, come sempre uguale è il concetto che essa esprime.
Oltre ad essere l'unica traduzione possibile di un termine, la buona traduzione traduce solo quel termine e non può essere confusa con null'altro, in modo che il termine originale e quello tradotto siano perfettamente equivalenti.
Una buona traduzione non deve richiedere spiegazioni poste tra parentesi o di giri di parole per poter essere utilizzata; deve, anzi, fare in modo che non sia affatto necessario rigirare la frase originale.
Una buona traduzione deve essere riconoscibile da un tecnico in quanto la parola tradotta (in ordine di importanza):
Per essere una buona traduzione, la traduzione deve essere elegante in italiano: molte traduzioni per altri motivi molto valide sono pressoché inutilizzabili a causa della loro bruttezza e goffaggine.
Effettuando una traduzione bisogna sforzarsi di restare omogenei con le traduzioni già fatte, in quanto traduzioni non coerenti tra loro diventano facilmente fonte di confusione per l'utente.
Oltre alla lettura delle traduzioni di programmi e documenti relativi all'oggetto della traduzione è possibile consultare guide apposite come il glossario dei traduttori di programmi liberi o, se si stessero traducendo elementi di una interfaccia grafica, le linee guida di Luca Ferretti.
Alcune regole sono state prese in prestito dalle pagine dei traduttori di KDE redatte da Andrea Rizzi, altre provengono dal «Manuale di stile per la traduzione» per i traduttori di SUN Microsystems, mentre la maggior parte delle norme proviene dal glossario dei traduttori di programmi liberi, redatto da Marco d'Itri, Francesco Potortì e molti altri.
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